Le Comunità carismatiche “In Alto i Nostri Cuori” e “Abbà Padre”, celebrano insieme, il VII Convegno della Comunità La Nuova Gerusalemme.
Tema del convegno: «Vino nuovo in otri nuovi» (Mc 2,18.22).
Relazione a cura di Alfredo Barone della Comunità “In Alto i Nostri Cuori”.
Non vi nascondo la difficoltà incontrata in questa riflessione che cercherò di trasmettervi, anche per il semplice fatto di trovarmi di fronte a tanti fratelli e sentire la responsabilità di cercare, di provare a fare un percorso con voi, a camminare insieme. Infatti, possiamo ben dire che è stato un vero e proprio cammino quello che il Signore mi ha fatto compiere per arrivare a questa riflessione. Tanta preghiera. Ma per comprendere bene, dobbiamo fare un piccolo salto indietro.
L’anno scorso il Signore ci ha detto: “Ecco Io faccio nuove tutte le cose”. Abbiamo camminato e dopo un anno ci dice “Vino nuovo in otri nuovi”. Quasi che voglia intendere che Lui, il Signore, senza di noi non può fare tutto. Mi spiego meglio. Dio è l’onnipotente, e può tutto su tutti, ma il suo immenso amore non può prescindere dalla nostra libertà. Dio per operare ha bisogno che noi gli diciamo il nostro SI.
Nel brano evangelico di Marco, dal quale è stata presa la profezia, cap. 2, 18-22, i farisei pongono una domanda a Gesù, per metterlo alla prova. I suoi discepoli, infatti, a differenza di altri, non digiunavano secondo la tradizione, cioè non si comportavano secondo le usanze, usi e costumi, e voi sapete quanto sono importanti, specialmente per gli israeliti, e in particolare per i farisei, essere obbedienti a tutti i riti, cerimonie e costumi della loro tradizione. Gesù allora risponde testualmente: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. Ma verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno. Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo squarcia il vecchio e si forma uno strappo peggiore. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri e si perdono vino e otri, ma vino nuovo in otri nuovi»
Notiamo subito che Gesù si definisce lo sposo, l’amato. L’Amore, quello con la A maiuscola, che vuole essere liberamente amato. E sappiamo bene fratelli che la vera grandezza dell’uomo è amare Dio. Il primo comandamento dato da Gesù: «…amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza».
Dopo, con le parabole sul nuovo e sul vecchio (Mc.2, 21-22), Gesù individua proprio quella resistenza nei confronti del suo messaggio. In pratica si tratta del rifiuto della conversione evangelica in nome del buon senso, della tradizione, del “si è sempre fatto così”. Tutte queste cose significano attaccamento alla propria idea di Dio e del proprio progetto, è un rifiuto di rinnovarsi: esattamente il contrario del “convertitevi e credete nel vangelo” (Mc 1,15).
Allora cos’è la stoffa e il vino nuovo? Gesù Cristo è la stoffa nuova, il vino nuovo. Non si può appiccicare Cristo e il suo vangelo su una mentalità vecchia, su un modo vecchio di vivere: si perderebbe la tranquillità di prima senza acquistare la gioia della conversione. E sottolineo gioia.
Allora come possiamo noi farci riempire da questo vino, da Gesù, dallo Spirito Santo affinché la nostra vita non vada sprecata? Affinché la nostra vita arrivi alla meta? Perché possiamo raggiungere quel senso di pienezza che solo Dio ci può donare?
Pregando per questa riflessione, dicevo: «Signore ma tu cosa vuoi dire nel profondo del nostro cuore? Cosa vuoi dire a me per primo e ai fratelli che avrò davanti?»
Il ritorno alla vocazione battesimale. Le origini della nostra chiamata, quella personale innanzitutto e comunitaria poi.
Dio ha un progetto su ciascuno di noi, quante volte ci è stato detto questo, quante volte lo abbiamo sentito, ma nel concreto cos’è questo progetto? Sia chiaro a tutti che il progetto che Dio ha per ciascuno di noi è la santità, nessuno escluso. La vita eterna. La salvezza della nostra anima. Nessuno si senta escluso da questo progetto. Infatti, Dio ha dato a tutti gli strumenti necessari per salvarci. Il vino nuovo Lui ce lo dà, anzi ce lo ha già dato.
Il dono del battesimo nella chiesa cattolica, la cresima, l’eucarestia, la confessione, essere nel rinnovamento carismatico, essere qui oggi insieme. Sono tutte cose per le quali non abbiamo fatto molto per meritarcele, vero? Abbiamo dovuto solo dire: sì.
Abbiamo ricevuto lo Spirito Santo, siamo diventati figli Dio, abbiamo ricevuto un altro cognome: cristiano. E non è finita qui. Siccome era troppo poco, perché noi siamo delle creature limitate e fragili, il nostro Dio ha pensato bene di darci degli strumenti perché potessimo vivere in modo pieno e soddisfacente la nostra vocazione, la nostra chiamata ad essere figli suoi, ad essere felici. Con il battesimo abbiamo ricevuto in dono tre virtù, dette teologali: fede, speranza e carità e i sette doni dello Spirito Santo.
Mi soffermerò pochissimo sulle virtù teologali, che sono la base, le fondamenta per vivere una vita spirituale cristiana. Senza di esse non esisterebbero i carismi, che sono una manifestazione dello Spirito Santo attraverso le nostre miserie, limiti, attraverso la nostra carne. San Paolo, infatti parla dei carismi alla comunità di Corinto, invitando ad aspirare ai carismi più grandi, ma che tuttavia esiste una via migliore di tutte, concludendo: «Queste, dunque, le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte la più grande è la carità!»
Abbiamo detto che queste virtù sono un dono, e non un dono qualunque, ma un dono del Cielo. Nessuno di noi, nessun uomo, in realtà è capace da solo di Fede, di Speranza o di Carità. Al massimo noi siamo capaci di fiducia, cosa diversa dalla Fede; siamo capaci di ottimismo, che non è la Speranza. Siamo capaci di bene, tutt’altra cosa della Carità.
Per rispondere a tutto quello che tante volte la vita ci riserva, che ci mette davanti, non basta la nostra fiducia o una visione ottimistica o il bene per essere felici. Abbiamo bisogno di qualcosa di più! Ovvero della Fede, della Speranza e della Carità.
La fede.
La fede, cosa è la fede? Credere in Dio e a tutto ciò che egli ci ha detto e rivelato. Certamente è questo. Ma noi dobbiamo viverla questa fede? Sappiate che anche il demonio ha fede. Ma di sicuro non la vive. Cosa significa allora per noi vivere la fede? Vivere la fede è sapere, è sperimentare l’esistenza di un Dio che mi ama così tanto che ha dato suo Figlio per me, perché per mezzo Suo io, tu, noi ricevessimo in modo del tutto gratuito la salvezza.
La fede non è credere semplicemente che Dio esiste, è troppo poco. La Fede è credere che Lui mi ama. Pensiamo alla storia di Abramo e Isacco. La conosciamo tutti giusto? Dio comanda ad Abramo di sacrificargli il suo amato figlio, il figlio della promessa. Ma Abramo è convinto che Dio lo ami, crede all’amore di Dio e vi crede anche quando i comandi di Dio sembrano essere in contrasto con questo amore. Il suo è un atto di fede nell’amore di questo Dio, non nell’esecuzione assurda di un comando, come l’uccisione di un figlio. In cuor suo Abramo sa che questa cosa è irragionevole, ma non sa ancora come il Signore risolverà questa contraddizione. Si fida però del fatto che sarà Dio stesso a risolvere questa assurdità. Ecco ciò che è rivoluzionario, la novità: Abramo è nostro padre nella Fede, perché prima di tutti gli altri crede all’amore di questo Dio, che è Padre. E anche se tutto gli sta dicendo il contrario, lui, contro tutto e contro tutti, crede in questo amore.
Allora possiamo affermare che la Fede non riguarda solo un’informazione su Dio, ma anche la relazione tra l’uomo e Dio, una relazione basata sull’amore. Indipendentemente dalle circostanze, da tutto quello che può accadere, «Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio» dice San Paolo ai Romani (8, 28). la fede, dono del cielo, offre la certezza che Dio ama l’uomo. Questa fede è la forza che ha vinto il mondo.
La Speranza.
Se la fede è il rapporto d’amore tra Dio e l’uomo, tra Dio e ciascuno di noi, la speranza è l’armonia che c’è tra l’essere umano e tutto ciò che Dio ha creato, compresa la nostra vita, compresi noi stessi e i nostri fratelli, il nostro prossimo. L’armonia tra noi e tutto ciò che ci circonda.
“Sperare” allora significa vivere con la convinzione che ci sia del bene nascosto in ogni uomo e in ogni cosa.
Questa consapevolezza ci guida, o meglio dovrebbe guidarci nelle scelte di vita, in modo da cercare e perseguire quel bene indipendentemente da quello che stiamo vivendo.
Purtroppo, la virtù teologale della speranza non è un’esperienza immediata di bene, noi non facciamo esperienza diretta della speranza nelle cose che viviamo. Mentre il male, la sofferenza, il dolore attraggano immediatamente la nostra attenzione, il bene al contrario ha bisogno di essere scoperto, ricercato. Bisogna scavare per trovare il bene, è come trovare il tesoro nascosto nel campo o la perla preziosa nell’ostrica. Per scoprire il bene, è necessario avere quell’ostinazione di ricercarlo. Questa è la speranza in noi, credere sempre che ci sia un bene, sia nelle situazioni belle che in quelle meno belle.
Che cos’è che ci fa restare sulla Croce? La speranza che la Croce non è Croce fino in fondo, che nascosto in tutto quello che sto vivendo c’è un bene, al fondo di tutto esiste un bene. Qual è?
In fondo possiamo dire che la speranza è quella realtà che ci rende propriamente liberi. Mi spiego meglio. Se Dio ci avesse messo di fronte in modo perfetto, evidente quale fosse stato il bene, non avremmo avuto la possibilità scegliere. Solo quando siamo noi che scegliamo di ricercare e trovare il bene in fondo a tutto ciò che viviamo, allora possiamo dire che lo abbiamo voluto, lo abbiamo scelto quel bene. Proprio per questo Gesù si fa uomo, si nasconde nella fragilità di un bambino, nella mediazione del pane, nell’Eucarestia e nel vino. Non si mostra a noi direttamente, noi scegliamo di credere che in quel tesoro del sacramento si cela Nostro Signore Gesù.
Dio ci ha creato in un modo perfetto e stupendo e vorrei che rifletteste su questo. Il cervello umano non è in grado di comprendere la negazione. – Vi faccio un esempio.
Se vi dicessi di non pensare a un elefante, voi cosa state facendo. Scommetto che state proprio pensando ad un elefante. Il motivo è che non possiamo dire al cervello di non fare qualcosa.
Stai sciando in un bosco e pensi: non colpire l’albero, non colpire l’albero, non colpire l’albero. Indovinate cosa si sta guardando? Si guardano solo gli alberi. Se al contrario ripeti: segui la neve, segui il sentiero, segui il sentiero l’unica cosa che si vede è il sentiero.
La stessa cosa vale per la vita spirituale, se ci focalizziamo solo su quello che non va, sulle nostre miserie, sul peccato, sulle nostre ferite, su quello che stiamo vivendo in questo momento, vedremo solo quello. Scegliamo di guardare oltre, di seguire la strada, la luce, fissiamo il nostro sguardo su colui che ha il potere di trasformare la nostra vita, su Gesù, infondo questa è la speranza una questione di prospettiva, segui il sentiero non badare agli alberi.
La Carità
La carità, San Paolo la definisce la virtù più grande rispetto a fede e speranza. Se abbiamo detto che la fede è credere che Dio mi ama, che la speranza è sapere che al fondo di tutto ciò che esiste c’è un bene, allora potremmo dire che la carità è sapere che prima di tutto, prima di ogni altra cosa c’è l’amore. La speranza è al fondo delle cose, la carità è al principio, all’inizio.
Su di lei, la carità, sull’amore si basa tutto, è il punto di partenza. E se partiamo da quest’ottica possiamo dire anche che l’essere cristiani, che si fonda nel comandamento dell’amore, ha come presupposto il lasciarsi amare e di conseguenza amare.
Perché tutti noi oggi siamo qui? Perché ciascuno di noi ha fatto l’esperienza di sentirsi amato o sta ricercando questo sentirsi amato. Questo fonda la nostra vita. Questo è ciò che conta per tutti gli esseri umani, credenti o no, il sentirsi amato. E se questa esperienza viene meno, possono giungere, anzi giungono delle patologie, che si manifestano nella nostra vita.
L’uomo è una creatura malata d’amore, e il fatto è che di quest’amore non si sazia mai. Credo che se siamo venuti qui, è proprio per questo, per sperimentare ancora l’amore di Dio per noi. La nostra vita spirituale, la nostra vita cristiana consiste in una cosa molto semplice: nel permettere a Dio di amarci. Questo è in sintesi lo scopo della vita spirituale. Se riusciamo a vedere questo si ribalta completamente la modalità di vivere, perché solo lasciandoci amare noi potremo amare.
Dare amore è una conseguenza del sentirsi amato. Se tu non ti senti amato, quale amore potrai dare? E in quest’ottica dovremo considerare tutto il resto a partire dalla vita di fede sacramentale. Perché dovrei andare a Messa? Per fare un incontro e lasciarmi amare, non perché “devo”, come un comandamento. Perché leggo il Vangelo? Per lasciarmi amare. Perché mi confesso? Per lasciarmi amare. Perché mi accosto all’Eucarestia? Per lasciarmi amare. Perché scelgo una vocazione? Per lasciarmi amare in quella vocazione specifica. Perché vado in preghiera?
Anche Gesù ha vissuto la stessa nostra esperienza. Prima di fare qualunque cosa, si ritira sempre in preghiera in solitudine per ricevere l’amore del Padre. Prima di compiere la sua missione riceve il battesimo e una voce dal cielo «Tu sei il mio Figlio, l’amato, in te mi sono compiaciuto».
È proprio l’amore che lo conduce e gli da quella forza, coraggio, grazia per fare tutto ciò che ha compiuto. È l’amore del Padre che fonda il Figlio. La Carità è l’amore che il Padre ha per il Figlio. Questa è la Carita! Capite bene allora che quando noi domandiamo il dono della Carità, stiamo domandando lo stesso amore che il Padre vuole al Figlio, non uno simile, ma lo stesso. E voi sapete cos’è quest’amore che il Padre prova per il Figlio, che riversa continuamente sul Figlio? il nome proprio di quest’amore è Spirito Santo.
Partendo da qui, da quello che abbiamo detto finora, giungiamo alla conclusione che tutto quello che facciamo e diciamo in famiglia, in comunità, in una relazione deve necessariamente avere una condizione: IL SENTIRCI AMATI PER AMARE.
Questa condizione appare ancor più necessaria quando vogliamo esercitare i carismi che Dio ci ha donato. Come sappiamo essi sono per il bene del mio prossimo, e la carità è la modalità, il modo in cui io uso quel carisma. Attenzione la carità non è un carisma. Dobbiamo domandarci sempre, se quel carisma io lo sto esercitando con amore e per amore verso il fratello, la sorella oppure è solo per farmi sentire che sono troppo bravo, perché il Signore ha scelto me per fare questo o quello, per aumentare in me l’orgoglio, la superbia. Vi ricordo che se accadono miracoli in mezzo a noi, è per l’opera e la gloria di Dio non per la nostra.
Andando a rileggere quello che dice San Paolo nell’inno alla carità al cap. 13 della prima lettera ai Corinzi, ci accorgiamo che neanche aver la fede che sposta le montagne potrà salvarci se non abbiamo in noi l’amore, la carità. Così anche se sapessi a mena dito tutta la dottrina e il sapere della chiesa. Non ci serve a niente. San Paolo parla anche dei doni e dei carismi dello Spirito, come ad esempio il dono delle lingue dell’annuncio (un bronzo o un cembalo tintinnante), la profezia o il coraggio di testimoniare con il martirio la propria fede, nulla giova, senza la carità.
Allora abbiamo visto che questo vino è un dono gratuito di Dio che dobbiamo riscoprire e che gli otri siamo noi, che dobbiamo volere che accada dentro di noi questo cambiamento, per poter ricevere questo vino nuovo.
Volete sapere davvero qual è il banco di prova che nella nostra vita abbiamo fatto quest’esperienza?
È la quotidianità, è nei gesti, nei comportamenti concreti della nostra vita, di quella di tutti i giorni, che si riflette la nostra esperienza d’amore ricevuta, sperimentata. Quest’otre nuovo deve essere visibile, questo cambiamento deve portare i suoi frutti. Se ero un bestemmiatore, ora sono colui che loda e benedice il Signore. Se prima ero attaccabrighe, iroso, violento, ora cerco la mitezza, l’equilibrio. Se prima parlavo male di qualcuno, ora prego, dico bene benedico quella persona. Se il Signore mi concede di vedere le miserie di un fratello, non deve esserci un giudizio di condanna, ma un atteggiamento di misericordia, proprio come ha fatto il Signore con ciascuno di noi. Se prima ero concentrato su me stesso, sui miei programmi, i miei progetti, ora il mio sguardo sarà sulle necessità dei miei fratelli, «amerai il prossimo tuo come te stesso», non soltanto quando sono in preghiera, ma anche e soprattutto quando la preghiera è finita. Come se lo Spirito Santo si esaurisca quando non siamo più concentrati nella preghiera. Finisce la sua azione lì, in quel momento. Questa è la novità-conversione del vino e dell’otre nuovi. Se il nostro partecipare alla preghiera con canti, lodi e manifestazioni di carismi non porta nella nostra vita un cambiamento profondo nella nostra mentalità, nel nostro modo di agire, di pensare, l’otre va in frantumi, non regge, non riesce a sostenere la grandezza del vino nuovo, così che un conflitto interiore distrugge tutto ciò che il Signore aveva costruito.
Certamente non mancheranno cadute, ma se siamo uomini nuovi, uomini dello Spirito, uomini ricolmi di quel vino nuovo, riconosceremo il nostro errore e ci rialzeremo, anche con l’aiuto dei fratelli, più forti di prima. Tutto questo è un cammino, non avviene dall’oggi al domani, non dobbiamo né demoralizzarci, né tanto meno colpevolizzarci se non riusciamo subito in questo agire, l’importante è volerlo ed entrare in questo cammino.
Partendo proprio dalla realtà che il Signore ci sta facendo vivere, non possiamo anche riconoscere che, il vino nuovo e l’otre nuovo, è la comunione e l’unità che è nata tra le realtà del Rinnovamento Carismatico Cattolico, come la Comunità La Nuova Gerusalemme, Comunità Abba Padre e Comunità In Alto i Nostri Cuori. Pur vivendo la nostra identità spirituale e una diversità di carismi, il Signore ci invita ad essere un cuor solo ed un’anima sola. Lo Spirito ha provveduto a rispondere a quegli appelli che il Santo Padre Francesco sta offrendo a tutta la Chiesa. Il camminare insieme su strade che in realtà non sappiamo dove ci porteranno, ma abbiamo fede che nonostante tutto è qualcosa di buono, che ci rafforza, che c’è del bene, c’è l’amore.
Vi lascio con un ultimo pensiero. Quando seppi che dovevo fare questa riflessione, come vi ho già detto, pregai e la prima parola che sentii fu: origini, tornare alle origini. Ecco quando sono entrato in questo cammino ero un ragazzo disperato, senza fede e molto triste. Ricercavo la felicità, come tutti del resto, ma in modi e posti sbagliati. All’epoca avevo appena finito il liceo. 19 anni. E quando feci l’esperienza dell’amore di Cristo avvenne subito qualcosa di così dirompente, che non riuscivo a contenere. Questa era la gioia di aver scoperto di essere amato. E allora riflettevo che le persone che incontravo all’epoca e annunciavo il Rinnovamento Carismatico Cattolico, l’amore di Dio, mi dicevano proprio c’è qualcosa che esce dai tuoi occhi quando parli.
Per questo motivo mi domandavo: chi ci vede, vede in noi un uomo o una donna nuova? Se ero nella morte vedono la gioia? Vedono un vero cambiamento nel mio stile di vita? Il cristiano non è colui che si libera dei problemi, delle ferite e dei peccati, ma è colui che li affronta con la certezza che Cristo lo ama ed è con Lui, e insieme a Lui gli ha donato dei fratelli con cui camminare insieme per prendersi cura gli uni degli altri.
Tanti di noi possono testimoniare la trasformazione della propria vita e della vita di tanti fratelli grazie alla potenza dello Spirito Santo attraverso la preghiera comunitaria.
La pienezza della vita spirituale consiste proprio nell’agire e nel fare tutto con l’amore di Cristo. Non un amore qualunque. Per noi cristiani l’amore ha una forma ben definita: LA CROCE – AMATEVI COME IO VI HO AMATI.
Allora il vino nuovo e l’otre nuovo è il vivere la fede, la speranza e la carità, i carismi, la comunità, la chiesa come uomini e donne trasformati dallo Spirito Santo, amati da Cristo e pronti ad amare quanti il Signore ci metterà davanti, cercando sempre di più di abbandonare, rifiutare, le vecchie abitudini e mentalità abbracciando con gioia la buona novella. – Amen