Riflessioni all’indomani delle modifiche alla preghiera del Padre Nostro a cura di Mons. Ivan Santus
Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori.
E’ una richiesta molto importante, non solo per il fatto che siamo continuamente minacciati dal peccato, ma perché l’opera di Gesù, il Regno, è anzitutto la liberazione dal peccato. Egli è presentato così dal vangelo di Matteo nella rivelazione dell’angelo a Giuseppe: «Maria partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (1,21). La liberazione dal peccato è parte integrante, sostanziale della sua missione. Per questo rimette a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori. L’evangelista Luca ha usato la parola più usuale: «E perdonaci i nostri peccati» (11,4); tuttavia Matteo, la cui espressione è più arcaica e primitiva, recita: «Rimetti a noi i nostri debiti» (6,12), usando un’espressione non usuale.
Nella Bibbia ebraica come in quella greca ci sono tanti vocaboli per indicare il peccato, la trasgressione, la disobbedienza. Qui l’evangelista Matteo sceglie il concetto di debito; per quale motivo? Probabilmente perché il concetto di debito – ovviamente metaforico, in quanto non si tratta di debito di denaro – è razionale. Il concetto di peccato può essere concepito con il solo riferimento alla legge: c’è la legge e il peccato che la trasgredisce; c’è il precetto e la deviazione dal precetto. Il debito invece sta a indicare una relazione con qualcuno. Parlando di debiti, Gesù ci ricorda quindi che non si tratta semplicemente delle nostre deviazioni, trasgressioni, sbagli, infrazioni della legge, bensì di rottura di relazione con lui. Perciò questa parola è molto importante e si può anche tradurre giustamente «peccato», ma intendendo il peccato appunto come la rottura di relazione con Dio.
Chiedendo «Rimetti a noi i nostri debiti», noi ci confessiamo incapaci di pagare questi debiti. Potremmo dire: ho dei debiti e prima o poi li pagherò. Però i debiti che abbiamo con Dio non riusciamo a pagarli. Lo esprime chiaramente Matteo nella parabola del servo senza pietà: «Il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: “Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito» (18,23-27). Il padrone domanda anzitutto che il servo sia venduto, e poi accoglie la supplica di misericordia e condona il debito.
Il Padre nostro suppone che noi siamo così avanti a Dio: abbiamo debiti che non possiamo pagare, perché abbiamo rotto una relazione d’amore e non siamo in grado di ricostruirla con le nostre forze, se non ci viene gratuitamente ricordata. «Rimetti a noi i nostri debiti» è una domanda davvero nodale. Noi non conosciamo neppure l’entità dei nostri debiti. La parabola ci parla di diecimila talenti, ma se ci mettiamo di fronte a ciò che il Signore ha fatto per noi, all’amore con cui ci ha abbracciato dall’eternità, ci ha seguito, ci ha voluto, ci ha sostenuto, allora il nostro debito non è nemmeno calcolabile, ne solvibile se lui stesso non compie ancora un gesto di gratuità e ce lo condona. (Continua)